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Scuola di Aikido affiliata all'associazione di cultura tradizionale giapponese

Aikikai d'Italia

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La via dell'UKE

La sfida dell' Aikido ...vista da un praticante


Immaginate un tatami, su di esso due uomini si fronteggiano. Sono immobili, uno di fronte all’altro. Un dinamismo statico, carico di calma e consapevolezza, precede la mossa del primo – l’uke - che avanza per iniziare il suo attacco. Che sia una presa al bavero, piuttosto che al polso non importa; l’uke rompe gli indugi e ingaggia chi gli si staglia davanti: il tori.

Quest’ultimo, ingaggiato, potrà iniziare la sua tecnica nei confronti dell’uke il quale, nella presenza di mente e fisico, accompagnerà il tori nell’esecuzione.

Essere un uke (tradotto dal giapponese: colui che riceve) è per l’Aikido un arte: Ukemi, per l’appunto.

La pratica si ripete, si cambiano le guardie, si invertono i ruoli. Ora chi attacca è chiamato a ricevere.

Sempre così, senza sosta finché si ha fiato nei polmoni e il cuore non brucia nel petto.

Questo è stato per me il primo e principale insegnamento dell’Aikido: imparare a ricevere.

Ma cosa significa ricevere? Un verbo utilizzato spesso nella quotidianità, di cui si può conoscere il significato lessicale ma che però rimane ignoto nel suo senso più profondo. Quanti di voi hanno ricevuto un dono o una cattiva notizia? Quanti una sorpresa o un affronto? Quanti poi hanno ricevuto una vittoria o una sconfitta? E quanti di voi hanno saputo ricevere tutto ciò? Se ci pensate bene non saprete nemmeno cosa intendo quando dico “saper ricevere”

Proverò a essere più chiaro e farò affidamento sull’Aikido.

Quando un aikidoka riceve una tecnica il suo corpo si adegua a ciò che prova, si plasma sulle forze che lo coinvolgono per far sua la propensione del compagno e aiutarlo nell’esecuzione della tecnica, ovvero nel suo studio. È vero anche che il medesimo processo messo in atto dall’uke può servirgli per trovare un’uscita da una situazione sfavorevole e capovolgerne le sorti. Ma per trovare un’uscita deve prima accogliere la tecnica, capirla, farla sua per poi trovare in essa armonia o uno spiraglio d’uscita.

Nessuna menzogna potrà aiutarlo, non si anticipano le mosse pensando di prevenire una situazione scomoda, non ci si lascia trasportare passivamente dal tori rimanendone in balia. Si accoglie la sua dinamica, si fa propria la tecnica e la forza dell’avversario, ci si lascia coinvolgere dalla sua energia, per scorgerne da essa l’uscita. Solo però quando si è in grado di accogliere chi ci sta di fronte in tutte le sue manifestazioni e nella più profonda sincerità saremo in grado di affrontarlo e crescere insieme a lui.

La ripetizione di questa dinamica serve a trascinare questo insegnamento dal corpo allo spirito di chi pratica perché si consolidi nei suoi più profondi sentimenti e perché questo possa venir fuori anche quando non si calca più un tatami.

L’Aikido chiede ai suoi studenti di accogliere pienamente e consapevolmente chi li affronta per catalizzarne le energie al fine di trovare una comune crescita o, in extremis, di evadere dalla loro forza.

Ecco come l’Aikido insegna la vita: semplicemente ricevendola.

Mi chiamo Marco Fabbretti, pratico Aikido nel Dojo Gambaru No Kai di Assago, sono ancora un Mu Kyu (senza grado) ma ho imparato una direzione sul sentiero della vita grazie all’Aikido.

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